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Traduction automatisée, revue par Raymon Dassi

L’ancoraggio sociologico del concetto. Riflessione sul rapporto di oggettivazione
Marie-Laurence Bordeleau-Payer

Questo articolo esamina come il concetto, che si presenta come uno strumento linguistico e metodologico attraverso il quale è possibile cogliere la realtà, agisce come una mediazione attraverso la quale un significato viene trasmesso e oggettivamente appreso. Essa evidenzia il fatto che concetto e pensiero devono essere affrontati secondo un rapporto inscindibile, per cui la (ri)conoscenza degli oggetti del mondo è possibile secondo le sue radici storico-sociali. Inoltre, questa prospettiva mette in evidenza il fatto che i concetti non sono mai neutri, cioè sono impregnati di un contenuto normativo e ideologico specifico della cultura « epistemologica », nonché dello spirito dei tempi, che fanno parte della loro costruzione dialettica. E poiché questo contesto è intrinseco all’impresa di conoscere il mondo, ogni ricercatore che voglia accedere alla comprensione della realtà deve tener conto della natura « culturale » del processo attraverso il quale la lettura/conoscenza « realtà » è possibile, prendendo in considerazione l’universo di significato su cui si basa il pensiero umano. È alla luce di queste considerazioni che la riflessione elaborata in questo articolo cerca di far luce sulla natura sociale di ogni progetto di conoscenza, seguendo l’ancoraggio storico-sociale del rapporto oggettivo che è alla base di ogni denominazione concettuale, nonché del pensiero che la riflette.

Neutralità per cosa? Per una storicizzazione del rigore scientifico
Oumar Kane

L’epistemologia, in quanto campo di conoscenza che si occupa dello studio della scienza, ha posto grande enfasi sulle condizioni « interne » per la produzione del discorso scientifico, in particolare concentrandosi su concetti come verità, logica, oggettività o neutralità. Propongo di completare brevemente questa analisi « interna » con un approccio « esterno » alla conoscenza scientifica. La storicizzazione mi sembra quindi una condizione importante per mostrare due cose in relazione alla questione che mi è stata sottoposta, quella della neutralità: in primo luogo, la neutralità come imperativo legato al dispiegamento di una certa conoscenza può essere legato a certe condizioni storico-sociali. Inoltre, questa neutralità assume forme estremamente diverse a seconda delle configurazioni istituzionali e disciplinari a cui siamo interessati. Per argomentare il mio punto di vista, uso Aristotele, Bachelard e Feyerabend per dimostrare che il percorso conoscitivo non è lineare e che in ciascuno di questi autori possiamo trovare argomenti a favore del riconoscimento di molteplici forme di conoscenza e persino di una certa eterogeneità del sapere scientifico. Concludo sostenendo che anche la proposta rivoluzionaria di Feyerabend di una teoria anarchica della conoscenza è insufficiente nel contesto di un’analisi politica della scienza e che c’è bisogno di un « cambiamento epistemico » che sta solo cominciando ad emergere.

Dall’impossibile neutralità assiologica alla pluralità delle pratiche
Pierre-Antoine Pontoizeau

In questo capitolo, illustro i risultati del pensiero di Feyerabend in termini di contestualizzazione di verità scientifiche subordinate a scopi o utilità implicite. Poi, ho messo il suo pensiero in prospettiva rispetto alle più recenti conclusioni dei matematici sui limiti della propria scienza: incompletezza, crescente indecidibilità (Kolmogorov), ecc. Presento poi alcuni esempi dei dibattiti e di controversie matematiche che attestano l’inesistenza della neutralità assiologica nel processo stesso della creazione matematica. Il capitolo si conclude indicando i percorsi di un dialogo basato su una razionalità aperta e plurale, cioè una praxéology che contestualizza la ragione discorsiva basata sul notevole libro di Gunnar Skirbeek – A Praxéology of Modernity.

Sull’ideale di neutralità nella ricerca
Julia Morel e Valérie Paquet

Supponendo che la neutralità nelle scienze sociali è irraggiungibile e che è necessario esserne consapevoli, questo articolo si concentra sulle manifestazioni di questo pregiudizio nel complesso ed eterogeneo processo di ricerca sulla comunicazione tra laureati. Basato su un approccio dominato dal movimento costruttivista, questo testo si concentra sugli scritti di tre autori leader nelle scienze sociali: Gaston Bachelard, Giovanni Busino e Jean-Pierre Olivier de Sardan. I concetti di rottura epistemologica, di prova e infine le dinamiche tra la dimensione etica e quella emancipata sono al centro di questa riflessione, e permettono di apportare elementi aggiuntivi all’osservazione iniziale. Questi tre autori sono legati a diverse discipline delle scienze sociali, ma giungono a conclusioni simili: la neutralità è difficile da raggiungere. Attraverso un dialogo tra questi autori, questo testo cerca di rispondere alla seguente domanda: in che misura la consapevolezza o la consapevolezza della non neutralità ci permette, come studenti di master in comunicazione, di compensare i nostri pregiudizi personali e strutturali di ricerca?

Quando i risultati contraddicono le ipotesi. Neutralità in questione nella produzione di conoscenze sul cervello
Giulia Anichini

In questo articolo, la neutralità scientifica è analizzata a partire dal lavoro di produzione dei risultati nel campo delle neuroscienze. I miei studi di casi attestano strategie che mirano a produrre risultati « positivi », cioè in linea con le previsioni iniziali dei ricercatori. La valutazione dei risultati « confermativi » porta anche a nascondere alcune anomalie percepite come meno « pubblicabili ». Le pratiche di DIY e la segretezza di alcuni dati riflettono l’impatto delle politiche di pubblicazione sulla produzione di conoscenze scientifiche.

Traduzioni coloniali e post-coloniali nella prova di neutralità
Milouda Medjahed

Fin dalla notte dei tempi, la storia è stata incompleta. Oserei persino dire che la storiografia è ancora un’impresa incompiuta. Anche la storiografia è soggettiva, perché è scritta in un contesto specifico. Tejaswini Niranjana (1992) accentua questa soggettività solo quando insiste sulla rilettura e la traduzione da una prospettiva (post-)coloniale. Spiega come la scelta delle parole cambia da un contesto all’altro, e quindi come le strategie di traduzione vengono utilizzate dai colonizzatori e da coloro che pretendono la decolonizzazione per raggiungere i loro rispettivi obiettivi. Infatti, la traduzione può essere manipolata per servire un progetto coloniale o di decolonizzazione. Questo capitolo propone di esplorare il grado di neutralità di questo risultato alla luce delle recenti ricerche sulle traduzioni coloniali e (post)coloniali. L’obiettivo è dimostrare come la soggettività, le decisioni e le motivazioni del traduttore siano legate a tutti gli elementi contestuali evidenziati dai teorici.

Pratiche di peer review : nessuna neutralità
Samir Hachani

La revisione paritetica delle pubblicazioni scientifiche e tecniche è sempre stata oggetto di controversie e pregiudizi multipli fin dalla sua nascita. Essendo ovviamente un’operazione umana, la revisione paritetica non ha potuto disfarsi della propensione a giudicare, non tanto il testo presentato, quanto la persona che fa la presentazione, l’autore o l’autore. Questi pregiudizi hanno origini molteplici e diverse (nazionali, religiose,, ad hominem – personale -, estetico, ideologico, ecc.), ma una di queste ragioni sembra diventare sempre più preponderante, come si può vedere più chiaramente dall’apertura del processo di valutazione in diverse recensioni. Questi sono i pregiudizi che le donne incontrano nella loro ricerca di pubblicazione e partecipazione a comitati editoriali che hanno lo scopo di valutare la ricerca presentata. L’analisi di questi pregiudizi tende ad indicare una sorta di ostracizzazione ed esclusione delle donne quando presentano un articolo e quando fanno parte dei comitati editoriali. Questo capitolo cerca di esaminare il trattamento dei contributi di articoli di donne in alcune riviste scientifiche, così come il posto delle donne nei loro comitati editoriali. L’apertura sempre più utilizzata dalla peer review potrebbe contribuire a ridurre questi pregiudizi e rendere la pubblicazione scientifica e la sua diretta corollario peer review un po’ più neutrale?

I fatti, la scienza e la loro comunicazione: un dialogo sulla scienza del clima al tempo di Trump
Pascal Lapointe e Mélissa Lieutenant-Gosselin

Questo capitolo propone l’analisi di tre testi in uno solo. In primo luogo, presenta il punto di vista di Pascal Lapointe sul lavoro dei giornalisti scientifici e quello che ci insegna sulla comunicazione scientifica in quest’epoca di « Fake News ». Segue un dialogo avviato dalla reazione e dalle questioni sollevate da Mélissa Lieutenant-Gosselin, dottoranda in comunicazione pubblica e co-direttrice di questo libro. La reazione e le domande sono quelle di un costruttivista convinto che vede la scienza come strumento di emancipazione umana e condivide con Pascal Lapointe la convinzione della necessità di una migliore comunicazione della scienza. Il testo si conclude con le risposte del primo autore alle domande del secondo. Ci auguriamo che questo testo in tre parti permetta ai lettori di riflettere con noi non solo sulla neutralità della scienza, della realtà e dei fatti, ma anche sui modi di parlare e di rappresentare la scienza.

L’amoralità del positivismo istituzionale. L’epistemologia del legame come resistenza
Florence Piron

In questo capitolo, rifletto sugli effetti sociali ed etici dell’ingiunzione di neutralità assiologica che sta al centro del « positivismo istituzionale »; nome che do al quadro normativo egemonico del regime globalizzato della scienza e della conoscenza nel mondo contemporaneo. Definendo i sentimenti morali e l’anima come dannosi per l’attività di creazione della conoscenza, rendendo gli scienziati incapaci di comprendere che i sentimenti, i valori e i coinvolgimenti sono essenziali per il pensiero autenticamente umano – legato e collegato ad un mondo comune – questa ingiunzione gioca all’esclusione di questo tipo di pensiero dalle attività scientifiche, le quali diventano amorale. Per il posto simbolico della scienza e della competenza nella cultura e nell’immaginario collettivo, questa amoralità normalizzata contribuisce a normalizzare l’indifferenza delle persone all’alterità, in nome della verità o della performance, in un mondo segnato dal neoliberismo dove la preoccupazione per gli altri è già scarsamente valorizzata, se non ignorata e disprezzata.

Un viaggio verso l’insolenza: smascherare la neutralità scientifica nella formazione alla ricerca
Maryvonne Charmillot e Raquel Fernandez-Iglesias

Il nostro obiettivo è decostruire la grammatica positivista smascherando la cosiddetta neutralità scientifica. Invitiamo gli apprendisti ricercatori a intraprendere un viaggio verso l’insolenza e a mettere in discussione l’ordine scientifico stabilito. Le regole per la produzione di conoscenze scientifiche lasciano spazio all’esperienza dei ricercatori? I ricercatori possono staccarsi dal mondo sociale per definire il loro rapporto con l’oggetto in studio? La costruzione della conoscenza scientifica è governata da convenzioni e le conseguenti ingiunzioni portano ad una sorta di conformità intellettuale. Queste regole implicite e le ingiunzioni che comportano sembrano ovvie: sono l’unico modo per garantire la produzione scientifica. Che impariamo a interrogarle e scopriremo che le scienze sono plurali e che lasciano spazio alla critica dell’ordine scientifico dominante. Questo apprendimento fa parte della prospettiva di ricerca globale. Da questa postura epistemologica, mettiamo in discussione le pratiche scientifiche e ci poniamo in opposizione ai sistemi di potere contro cui ci battiamo. Per fare questo, adottiamo un approccio sistema-per-sistema e proponiamo insolenti azioni di ricerca.

La questione della neutralità nelle scienze ambientali: riflessioni sulla Marcia internazionale della scienza
Laurence Brière

Di particolare interesse è la questione della neutralità nelle scienze ambientali. Le scienze biofisiche e le scienze umane coesistono e si intersecano, rivelando marcate divergenze epistemologiche. In occasione della Giornata della Terra 2017, è stata realizzata una passeggiata scientifica internazionale in 38 paesi. La passeggiata è stata organizzata su iniziativa di scienziati americani, preoccupati per le posizioni del loro nuovo governo, in particolare per quanto riguarda i cambiamenti climatici. Questo insolito evento – gli scienziati che scendono in piazza per difendere il loro contributo alla società e al mondo – ha evidenziato la necessità di aprire uno spazio di discussione tra gli attori del settore delle scienze ambientali sul significato e la portata delle ricerche condotte. Mentre il primato del paradigma positivista emergeva chiaramente dal discorso che circondava l’evento, la comunicazione promozionale dello stesso evento non era monolitica e uno dei comitati organizzatori nazionali ha persino sostenuto che « la scienza è politica , essendo soprattutto una questione di « neutralità » di una scienza « basata sui fatti » « che va a beneficio di tutta l’umanità ». Sulla base dell’analisi di questa recente mobilitazione, questo capitolo propone una decostruzione discorsiva degli assiomi e delle scelte semantiche che modellano le scienze ambientali. C’è infatti la necessità di mettere in discussione i fondamenti impliciti ed espliciti dei progetti scientifici in questo campo, quindi di sollevare le conseguenze di tali premesse assiologiche e di proporre approcci scientifici più ecologici, ancorati e dialoganti. La portata delle attuali crisi socio-ecologiche – tra cui il cambiamento climatico e la massiccia estinzione delle specie – è infatti suscettibile di interpellarci in tutto il nostro essere, verso questa importante riflessione.

Neutralità, quindi silenzio? La scienza politica francese alla prova della non violenza
Cécile Dubernet

La Francia ha una vecchia tradizione di protesta non violenta, mentre nelle università del paese manca un dibattito accademico sulla non violenza. Nelle scienze politiche, pochi scienziati hanno esplorato l’argomento al di là di alcuni riferimenti storici o facendo riferimento a testi in lingua inglese. Le opere sono sparse, spesso prodotte ai margini dell’università. Tuttavia, questo paradosso è comprensibile se si tiene conto dell’origine del concetto e dell’eredità positivista della scienza politica francese. Forgiato da autori-attori come Gandhi, King e il Dalai Lama, il termine non-violenza sembra vago e manca di distanza tra analisi e militanza, così necessaria all’accademico. Inoltre, poiché i suoi fondatori erano di ispirazione religiosa, la parola rimane connotata dalla spiritualità; un campo che gli accademici francesi affrontano con grande cautela. Soprattutto, il concetto è imbarazzante, perché mette in discussione i fondamenti della scienza politica, compresa l’efficacia della violenza. Questo termine inquietante viene quindi spesso ignorato a favore di altri registri considerati più accettabili, come “conflitto”, « lotte sociali », « proteste » o « resistenza ». Tuttavia, l’assenza del termine non-violenza nell’universo terminologico della scienza è in gran parte dovuta all’ingiunzione di neutralità e ha un costo. Gli accademici francesi lottano per pensare scientificamente sia alle questioni di difesa che alle rivoluzioni popolari. Infatti, la neutralità e il silenzio coprono alcuni prismi e tabù.

Le scienze coinvolte tra oggettività epistemica e imparzialità impegnata
Donato Bergandi

Qual è il ruolo della scienza e degli scienziati nelle società in cui, pur restando formalmente democratica, una moltitudine di indici convergenti modellano la gestione della res publica da parte di una casta politico-economica oligarchica? Questa casta, piuttosto incline a gestire le risorse ambientali sulla base di interessi particolari, non tiene conto né del bene comune, né degli equilibri biosferici. In tale contesto, il ruolo della scienza e degli scienziati è cruciale nelle questioni e in relazione agli oggetti di ricerca su ll’interfaccia tra scienza e società che generano controversie socio-scientifiche. Queste domande e questi oggetti di ricerca richiedono quadri epistemici ed epistemologici specifici che sono in contrasto con la tradizionale vulgata epistemologica. Così, non è più possibile affrontare questioni di ricerca e oggetti specifici delle « scienze coinvolte » sulla base del paradigma dominante, che fa dell’oggettivismo realistico di origine positivista e neopositivista l’ideale scientifico a cui tutti i ricercatori devono aderire. Ciò significa che le scienze – i cui temi non sono esclusivamente scientifici, ma anche economici, politici, etici e più in generale socioculturali – generano inevitabilmente controversie socio-scientifiche. Queste controversie non possono, in nessun caso, essere risolte limitandosi all’esperienza scientifica o ai « fatti ». Emblematico in questo senso è lo sviluppo di una serie di discipline contemporanee come la biologia molecolare, l’ingegneria genetica, la biologia sintetica, l’ecologia, l’ingegneria ecologica, le scienze del clima e le loro molteplici sfide. Alla ricerca delle molteplici questioni alla base delle relazioni rischiose e critiche tra oggettività, imparzialità e impegno nel caso delle scienze coinvolte e delle questioni scientifiche socialmente vivaci, si propone il concetto e la posizione etica di « imparzialità impegnata ». Una tale postura sarebbe in grado di garantire un giusto equilibrio tra l’ideale di oggettività scientifica – lo scienziato che la adotta cercherà di non farsi guidare dalle sue preferenze e pregiudizi nella scelta dei dati teorici e fattuali – e l’impegno etico-politico.

Non neutralità senza relativismo? Il ruolo della razionalità valutativa
Mathieu Guillermin

In questo contributo esplorerò la possibilità di combinare la non-neutralità (della scienza) e l’oggettività o razionalità basata sull’opera filosofica di Hilary Putnam. Partendo dalle nozioni di incommensurabilità e paradigma, Kuhn mette in discussione la neutralità della scienza. Secondo alcuni critici, un simile approccio non è accettabile, perché condanna il metodo scientifico all’irrazionalità e al relativismo. L’opera di Putnam può tuttavia essere mobilitata per dimostrare che la non neutralità e la razionalità (o oggettività) non sono antitetiche. Un passo importante sulla via di tale riconciliazione è il raggiungimento della razionalità valutativa. Sulla base delle risposte di Putnam a questa sfida, sosterrò che razionalità e oggettività non sono sinonimo di neutralità, ma, al contrario, sono forgiate attraverso un feedback riflessivo finalizzato alla valutazione razionale delle pratiche investigative. Sottolineerò poi l’interesse di un tale approccio per articolare scienza ed etica.

Comprendere e studiare il mondo sociale. Dalla riflessività all’impegno
Sklaerenn Le Gallo

La riflessione qui proposta mira a mettere in discussione i legami che possono essere creati, da un punto di vista critico, tra la necessità di riflessività da parte dei ricercatori e quello che è considerato un dovere di impegno nelle lotte e nei movimenti sociali. Contrariamente a quanto difeso dal paradigma positivista che da tempo domina il campo delle scienze umane e sociali, il mondo sociale può essere oggettivato e razionalizzato solo in modo abusivo. Gli scienziati sono quindi intrappolati tra la loro ricerca scientifica e il loro percorso biografico. Il testo presenta una riflessione basata sulla esigenza di riflessività nell’analisi del mondo sociale. Vengono poi presentate due visioni della ricerca intrapresa. In primo luogo, quello di Pierre Bourdieu, che invita alla critica sociale e alla denuncia dei rapporti di potere che prevalgono nella società. C’è poi quella di Michel Foucault, che vuole sfidare una posizione intellettuale universalizzante a favore di una riflessione intellettuale « situata » che porti la voce delle lotte, interroghi i rapporti di potere e si opponga ai regimi di verità imposti nel mondo sociale.

Linguaggio o decostruzione della neutralità scientifica messa in scena dalla sociologia drammaturgica
Sarah Calba e Robin Birgé

La neutralità, in altre parole, l’assenza di distorsioni, è una postura epistemologica o metodologica comune nella scienza. Secondo i suoi sostenitori, essa permette di mostrare le sue produzioni scientifiche senza un particolare punto di vista, e rendendole quindi più facilmente accettabili e riproducibili da altri, o ancora più vicine a ciò che è veramente. Piuttosto che cercare di affermare l’impossibilità di una tale posizione, cercheremo qui di dimostrare che la neutralità può trasformare il progetto scientifico (la costruzione collettiva della conoscenza) in un tentativo di rivelazione o mediazione di realtà che esistente indipendentemente dalle prospettive umane. Per fare questo, studieremo le formulazioni epistemologiche (affermazioni intenzionali e scelte formali) di diverse sociologie, in particolare quella che si qualifica come pragmatica e quella che abbiamo chiamato fotografica. In risposta, proporremo un’altra forma di impegno che potrebbe essere chiamata linguaggio, vale a dire un pregiudizio preso dal linguaggio, dall’intelligenza di ciò che viene detto con il modo in cui viene detto, o da un lavoro stilistico di discorsi scientifici. In questo modo, difenderemo la sociologia drammatica che, affermando l’artificialità e la singolarità della sua messa in scena, lavora per rendere coerenti i propri argomenti costruttivisti, in altre parole le sue finzioni scientifiche.

Relazioni complesse tra critica e impegno: alcune lezioni dalla ricerca critica sulla comunicazione.
Eric George

In questo testo, cerchiamo di analizzare le complesse relazioni tra la ricerca e l’impegno sociale. A priori, potremmo considerare che nel caso della ricerca critica, ci dovrebbe essere una logica complementarietà tra questi due tipi di attività. Tuttavia, vedremo che la situazione è più complessa di quanto sembri con l’inclusione di tre gruppi di opere considerate critiche nel campo degli studi sulla comunicazione: la Scuola di Francoforte, l’economia politica della comunicazione e gli studi culturali. Vedremo allora che alcune pratiche di ricerca e l’attivismo sono difficili da conciliare, mentre l’alleanza tra ricerca critica e impegno sociale è più che mai necessaria per trasformare il nostro mondo.

Prospettive critiche e studi sulla tecnologia digitale: alla ricerca di rilevanza sociale
Lena A. Hübner

Questo testo si concentra sui legami tra la ricerca e il cambiamento sociale. In particolare, si tratta di discutere le difficoltà che una posizione critica crea quando si studia la comunicazione politica online. Il testo mostra che questa prospettiva epistemologica porta a un dilemma: mentre i risultati della ricerca mirano a sensibilizzare i cittadini, i meccanismi stessi di questa educazione, se diventa digitale, rischiano di essere appropriati dalle istituzioni politiche ed economiche. Per superare questo ostacolo, si propone di creare maggiori legami tra la ricerca e la società civile in vari modi (diffusione dei risultati, applicazione pratica sul campo, ecc.)

Provvedimento di neutralità, attività di attivismo e ricerca accademica
Stéphane Couture

Alla luce della mia esperienza personale, esplorerò l’ingiunzione della neutralità assiologica nelle articolazioni tra attività attiviste e ricerca universitaria. La mia carriera accademica affonda le sue radici in un impegno militante: è il mio coinvolgimento nei movimenti sociali che mi ha portato alle scienze sociali. Con questo ancoraggio in mente, le mie scelte di oggetti di ricerca sono sempre state orientate verso i miei interessi politici e ho un’affinità con le epistemologie che problematizzano l’idea di neutralità, in particolare le teorie femministe del punto di vista e del “sapere situato”. Ciononostante, penso di mantenere una distinzione abbastanza chiara (anche se ambivalente) nelle mie attività tra attivismo e ricerca, e tra impegno e neutralità. Questa distinzione mi sembra importante da un punto di vista etico, cioè nel modo in cui affronto i miei rapporti con persone che considero, o meno, come « soggetti » della mia ricerca. Per esempio, come posso prendere posizione in un dibattito che anima un gruppo di cui voglio fare l’etnografia? Posso passare senza soluzione di continuità dal ruolo di attivista « in un gruppo” al ruolo di ricercatore su « questo stesso gruppo? Queste domande hanno un valore in sé, o sono semplicemente un richiamo al positivismo? Queste sono alcune delle questioni che sollevo in questo capitolo.

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Et si la recherche scientifique ne pouvait pas être neutre? Copyright © 2019 by Laurence Brière, Mélissa Lieutenant-Gosselin et Florence Piron is licensed under a License Creative Commons Attribution - Partage dans les mêmes conditions 4.0 International, except where otherwise noted.

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